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LA CARTUCCIA A PALLA ASCIUTTA

Così si chiama la cartuccia caricata con una unica palla, avverso le altre che vengono definite a munizione spezzata, queste ultime sono le classiche cartucce a pallettoni e a pallini. Stiamo parlando di cartucce per fucile a canna liscia. Non è ben definita la differenza ovvero fin quando sono pallini, e da dove cominciano a essere pallettoni. La munizione spezzata è comunque proibita per la caccia agli ungulati, per cui non si pone il problema logistico ai fini venatori. Dal punto di vista filologico si può dire che siccome i pallini aumentano di dimensione da un numero all'altro sempre della stessa quota, pari a o,2 millimetri (due decimi) dal numero 13 al numero 4/0. Per la numerazione unica italiana. E poi questa quota cambia, ma resta costante, pari a 0,5mm, cinque decimi. Ed è proprio li che si potrebbe mettere il limite. Ma ripeto è solo una questione di linguaggio per chiamare con un termine filologicamente più appropriato, i pallini più grossi: i pallettoni, appunto.

Ma l'oggetto di queste note sono le palle che possono essere sparate dai fucili a canna liscia, che vadano dal calibro 12 al calibro .410.

Escludiamo anche il calibro 14, che quasi nessuno conosce, obsoleto ormai da troppi decenni, e i grandi calibri, 4, 8, 10, che, tramontata l'era della polvere nera, non hanno trovato più impiego nelle cacce a palla, e in uso quasi solo come pesanti fucili da barchino, di solito monocanna, ora comunque non più armi da caccia.

Ormai la nozione di calibro, riferita alle armi da caccia è conosciuta quasi da tutti, anche nella accezione più vasta, ma ripetere alcuni concetti va sempre bene.

Nei fucili ad avancarica, sia per uso militare che civile, ognuno forava le canne come voleva, ma con l'avvento della retrocarica, ma anche prima, la standardizzazione del calibro fu necessaria per una questione logistica che imponeva di poter sparate cartucce di diversi fabbricanti, da più armi. Si poteva adottare anche una misura metrica riferita al lume delle canne, ma furono gli inglesi ad adottare un sistema, poi diffusosi in tutto il mondo, e le cui misure sono state fissate dalla CIP.

È molto semplice; si prese una libbra inglese di piombo, guai a dire il contrario, che il piombo può essere di qualsivoglia parte del mondo, ma la libbra come unità di misura non e stata quasi mai standardizzata, e quindi ognuno aveva la sua, e da questa libbra di piombo si ricava un certo numero di palle sferiche, tutte uguali in peso e che sono, per forza, della stessa misura di diametro, quindi dello stesso calibro. La canna il cui lume corrisponde a quello di quella palla, prende il nome proprio da quel numero totale di sfere ottenute. Si evince quindi che, più è grande il numero di palle, più le palle sono piccole e conseguentemente la canna è forata più piccola. Ma quanti sono i calibri!?

Tanti, perche nessuno impedisce di fare un numero di palle finito e non convenzionale, ad esempio 17, 15, 13.

Ma nell'uso corrente, anche per evitare cartucce troppo simili, ricordo che più il calibro è piccolo, più la differenza tra due di essi contigui è minore in quanto funzione quadratica del raggio, si sono costruite canne nei calibri 4, 8,10,12,14,16,20,24,28,32,36. Si noti come la serie non sia omogenea. E' più giustificata la presenza della sequenza dei calibri 8-10-12, che non 12-14-16, tant'è che il quattordici è scomparso da tempo.

Ma la sola grandezza della palla, meglio dire il calibro delle stesse, di per se non dice niente, se non che quella palla passa precisa in quella canna, o meglio che la canna è forata ad una certa misura, pur con delle tolleranze ammesse. Questa misura per convenzione si prende a circa 23 centimetri dalla culatta delle canne. A meglio definire le particolarità del calibro, sono poi, tutte le variabili legate all'uso delle varie polveri, borraggi e pallini.

Ora per tanto tempo si è ritenuto che il peso di quella palla fosse la dose giusta di piombo da sparare in quel calibro, ma l'evoluzione nella forgiatura e composizione degli acciai,  l'evoluzione degli altri componenti della cartuccia, in primis inneschi e polveri, hanno fatto si che oggi si tratta di una concezione superata.

Per tutti i calibri si tende ad assemblare cartucce sempre più piombate, anche, se pur con qualche difficoltà per il calibro 16, e fatta eccezione per il 24 e il 32, ormai nel più completo oblio.

Questo è pur vero per le cartucce a pallini, ma per le cartucce a palla per canne lisce non è così.

Il peso della palla corrisponde quasi sempre a quello della palla del calibro, con sole poche rare eccezioni di aumento, modesto della grammatura. O forte diminuzione per le palle sotto calibrate. Notare che il termine palla è rimasto, anche se le moderne “palle”, nulla hanno a che vedere con la forma sferica da cui il nome.

L'unica palla sferica che in qualche modo ha cercato di tenere il passo con i tempi, ma è stata surclassata dell'evoluzione della cartuccia a palla, cosi come oggi la vediamo in armeria, è stata la palla maremmana, sferica e leggermente sotto calibrata,  ormai indelebile ricordo del passato.

Oggi sul mercato resistono l'intramontabile brennek, di estrazione mitteleuropea, anche nella versione magnum,  la sauvestre francese, anche essa con la versione magnum, l'eccellente gualandi di nostrana produzione, la foster americana, perché così nazionalisti  non possono credere che la vecchia Europa abbia prodotto qualcosa di meglio!

L'oggetto delle nostre divagazioni si presta ad un uso di caccia quando il fucile a canna liscia può egregiamente sostituire l'arma rigata. Quando il tiro non supera i 50-70 metri, nel fitto sottobosco, nella macchia mediterranea, nelle armi miste, dove c'e già la palla della canna rigata, ma una palla in più può tornare utile.

Giovanni De Angelis

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